Più di un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo viene buttato via. Lo spreco è calcolato in 1,4 miliardi di tonnellate di prodotti alimentari e in 800 miliardi di dollari.
Ciononostante, 850 milioni di uomini, donne e bambini soffrono di denutrizione in 55 Paesi, 150 milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare acuta e 700 milioni di persone vanno a letto quasi sempre a stomaco vuoto (stime di Woir).
Le aree del mondo che soffrono più di fame e carestia si trovano tra il Burkina Faso, la Nigeria nordorientale, e il Sudan del Sud. Oltre a questa zona, altri 20 Paesi sono considerati ad alto rischio. La situazione sta lentamente migliorando se paragoniamo i dati con quelli dei primi degli anni Novanta, tuttavia la soluzione a questo problema è ancora molto lontana. Secondo le previsioni di BCG (Boston Consulting Group) nel 2030 lo spreco alimentare sarà aumentato di un 40%.
L’ONU ha dato priorità a questo tema nell’Agenda 2030, infatti uno degli obiettivi è quello di dimezzare lo spreco alimentare pro capite e ridurre le perdite di cibo lungo tutta la filiera, portando anche a ridurre la deforestazione e le emissioni di gas a effetto serra, fermando l’innalzamento delle temperature sotto i 2° C.
A livello italiano, la legge Gadda ha dato un grosso contributo per la lotta agli sprechi: è stata infatti regolamentata e semplificata la donazione di prodotti alimentari e farmaceutici che vengono recuperati e utilizzati per aiutare i le persone che ne hanno più bisogno.
Le definizioni di spreco alimentare sono numerose e spesso hanno accezioni diverse. Secondo la Commissione europea, lo spreco alimentare è «l’insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che – per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinati al consumo umano – sono destinati a essere eliminati o smaltiti».
La FAO invece ci tiene a operare una distinzione tra food loss e food waste. Con food loss ci si riferisce allo spreco che avviene in fase di produzione, mentre con food waste allo spreco di cibo che avviene nell’ultima parte della filiera (distribuzione, vendita e consumo). Va da sé che mentre possiamo fare poco a livello individuare per diminuire l’impatto del food loss, il food waste dipende molto dalle scelte di consumo di ogni individuo.
Sprecare cibo ha una serie di implicazioni che vanno a incidere su altri campi. Lo spreco alimentare ha infatti un risvolto etico ed economico, oltre che ecologico.
Lo spreco alimentare è un problema a livello globale ma a seconda delle varie regioni del mondo che osserviamo ha una serie di caratteristiche diverse.
Innanzitutto, occorre operare una distinzione tra Paesi ad alto reddito industrializzati e Paesi a basso reddito in via di sviluppo. I Paesi a basso reddito sono responsabili del 44% degli sprechi, mentre i Paesi ad alto reddito del 56%.
In ogni fase della filiera (produzione, consumatore, lavorazione, trasporto, vendita, conservazione) viene disperso del cibo.
Tuttavia, nei Paesi a basso reddito, lo spreco avviene nelle prime fasi della catena alimentare (30%), a causa della mancanza di risorse, tecnologie e strumenti per una produzione e una conservazione ottimale dei prodotti alimentari.
Nei Paesi ad alto reddito invece il 56% degli sprechi si suddivide in un 35% causato da consumatori e commercianti e un 21% creato da tutte le altre fasi.
È evidente come nei Paesi industrializzati il ruolo del consumatore è chiave: qui infatti le risorse non mancano ma è importante lavorare sulle abitudini di consumo e sulla sensibilità di ogni singolo cittadino.
Tocca a te, lascia il tuo commento!
Ricevi gli ultimi aggiornamenti dal blog!