"Oceani di plastica": il punto sullo stato di salute dei mari

Più volte abbiamo parlato di oceani e mari negli articoli del Blog Laica. Salvaguardare e proteggere l’ambiente in cui viviamo è un argomento fondamentale da non dimenticare mai. Adottare quotidianamente buone abitudini e comportamenti che sfruttino con intelligenza e rispetto le risorse naturali è essenziale per rispettare e proteggere il nostro Mondo.

Gli Oceani sono forse la parte più preziosa del pianeta Terra, non solo perché ne ricoprono quasi tre quarti della superficie. Non è un caso che proprio lì si sia formata la Vita e, ad oggi, sempre lì risieda l’80% delle specie viventi: queste regolano il clima, forniscono il 50% dell’ossigeno che respiriamo e riescono ad assorbire il 33% dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo. (Pianeta Oceano di Mariasole Bianco, Rizzoli)

Ma come stanno oggi i nostri Oceani?

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I cambiamenti climatici

Il mare è una risorsa magnifica e indispensabile: offre a metà della popolazione mondiale cibo per nutrirsi, energia pulita da sfruttare e, non ultimo per importanza, lavoro.
Nonostante questo, l’uomo è una vera e propria minaccia alle biodiversità dell’intero Pianeta e, più nello specifico, degli oceani e dei mari. L’impatto delle attività umane sta rendendo questa enorme distesa blu sempre più calda, più acida e povera di ossigeno.

I dati che emergono da una ricerca eseguita dall’Università del Queensland e pubblicata su Nature Climate Change mostrano chiaramente che l’impatto che il surriscaldamento globale sta avendo sulla parte superficiale degli oceani è devastante.

Per capire meglio queste conseguenze disastrose gli studiosi hanno analizzato la velocità climatica: “Abbiamo usato una metrica nota come velocità climatica, che definisce la probabile velocità e direzione in cui una specie cambia mentre l’oceano si riscalda” ha spiegato Isaac Brito-Morales, biologo marino.

“Abbiamo calcolato la velocità del clima attraverso l’oceano negli ultimi 50 anni - ha continuato Brito-Morales - e poi nel resto di questo secolo, utilizzando i dati di 11 modelli climatici.”

I ricercatori hanno così calcolato che la velocità climatica è due volte più veloce in superficie rispetto ai fondali oceanici. Le specie di animali marini che vivono soprattutto in questa parte dei mari e degli oceani hanno il doppio di probabilità di essere a rischio rispetto a quelle che vivono negli abissi.

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Le previsioni sul futuro.

Nonostante questo sia già di per sè un dato allarmante, le previsioni sul lungo periodo non sono certo più rosee.

La questione è che si deve ragionare su “quantità di acqua” veramente enormi: gli studiosi sottolineano che, anche se dovessimo calare drasticamente le nostre emissioni da domani mattina, il calore già assorbito dalla superficie finirà con il mescolarsi alle acque di profondità.

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È stato ipotizzato, infatti, che, sulla base dei dati raccolti e analizzando l’andamento degli ultimi decenni, è probabile che entro il 2100 il riscaldamento non sarà più solo superficiale, ma anche delle acque profonde.

“Nelle acque tra una profondità di 200 e 1000 metri, la nostra ricerca ha mostrato che le velocità climatiche potrebbero aumentare di 11 volte rispetto all’attuale” riferiscono gli studiosi.

I cambiamenti nelle velocità climatiche sono più gravi nella profondità degli oceani e dei mari perché sono zone in cui la temperatura è tendenzialmente uniforme e costante. Un minuscolo cambiamento in profondità simili può essere fatale per flora e fauna marina che faticherebbero ad adattarsi al cambiamento repentino. Qui, un innalzamento anche minimo delle temperature può essere devastante per interi ecosistemi, molto più che in zone superficiali.

Cosa possiamo fare

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Agire subito, con assoluta precisione. Non c’è tempo da perdere.

I ricercatori sono concordi sulla grande necessità di ripensare e creare da subito nuove aree protette ideate e realizzate con regole riviste: “nuove, grandi aree protette nell’oceano profondo in cui sia vietato recare danno alla vita oceanica, o che almeno essa sia gestita rigorosamente.”

Solo attraverso un movimento sinergico di più Stati sarà possibile ottenere risultati positivi per il Pianeta: queste aree protette dovrebbero diminuire l’impatto delle attività umane sul fondali oceani, già compromessi da decenni di estrazioni di vario genere e dalla pesca in acque profonde.

Ridurre le emissioni di carbonio è un obiettivo su scala mondiale che, nonostante rari scetticismi e alcuni momenti di scontro, trova d’accordo la gran parte dei Capi di Stato (purtroppo non tutti). La politica deve, però, anche trasformarsi in pratica e, ad oggi, nonostante si sia già fatto tanto, la strada da percorrere rimane ancora lunga, ma il mare è la nostra culla di Vita e non possiamo dimenticarlo.

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