Microplastica tra i ghiacciai artici, da dove proviene? Lo studio

L’Artico è invaso dalle microplastiche. Questa è una notizia che non dovrebbe stupire, purtroppo è una questione risaputa da tempo. Il grande inquinamento prodotto dall’uomo e provocato dai rifiuti di plastica monouso non risparmia praticamente nessun angolo del nostro mondo. Nemmeno una zona che ci sembra così distante come quella dei mari e dei ghiacci dell’Artico.

Quello che c’è di nuovo è la notizia che deriva da un recente studio: tre quarti di quel volume di plastica in frammenti microscopici proviene dal bucato domestico. Arriva dall’acqua di scarico dalle nostre lavatrici.

La ricerca

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Il nuovo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università della Columbia Britannica in Canada. Il team guidato dal professore Peter Ross ha analizzato campioni delle acque dell’Artico provenienti da 71 zone differenti. I campioni sono stati prelevati ad una profondità compresa tra i 3 metri e gli 8 metri.

Il dato sconvolgente, ma in parte atteso dagli studiosi, è che nella quasi totalità dei campioni prelevati nelle varie località sono stati ritrovate tracce di microplastiche. Solo uno di questi prelievi ha dato esito negativo e non ha mostrato evidenze di presenza di microplastiche.

Gli studiosi hanno calcolato che, in media, ogni metro cubo di acqua dei mari dell’Artico contiene circa 40 frammenti di plastica.

La seconda analisi dei frammenti ritrovati nei campioni di acqua prelevata, ha visto Ross e i suoi colleghi impegnati in un’indagine qualitativa: quali sono i frammenti ritrovati? Di che materiale plastico si tratta? Quale può essere la fonte?

I ricercatori hanno registrato che il 92% delle microplastiche ritrovate erano fibre sintetiche. Di queste fibre sintetiche, si è calcolato che ben il 73% era costituito da poliestere.

"C'è un forte sospetto che il bucato, l'abbigliamento e i tessuti stiano giocando un ruolo significativo nella contaminazione degli oceani del mondo con microfibre", ha dichiarato Peter Ross, commentando i dati. "Un impatto catastrofico a diversi livelli della catena alimentare. Noi recentemente abbiamo stimato che un singolo capo di abbigliamento può rilasciare milioni di fibre durante un tipico lavaggio domestico".

Cosa sono le microplastiche

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Lo studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e condotto dalla Ocean Wise Conservation Association ha messo in luce quanto possa essere devastante l’azione dell’uomo nella creazione di microplastiche secondarie.

Esistono, infatti, due categorie di microplastiche: le microplastiche primarie sono quelle che vengono create intenzionalmente dall’uomo nella filiera industriale. Sono microplastiche minuscole, praticamente invisibili, che vengono utilizzate all’interno di alcuni prodotti di cosmesi o di cura della casa (shampoo, creme per il viso, detersivo, dentifricio con granuli abrasivi, solo per fare qualche esempio). Oggi il loro impiego è sempre più messo in discussione.

Le microplastiche secondarie sono invece quelle si creano in seguito ad uno scorretto smaltimento dei rifiuti plastici. Basta pensare che il 75% dei prodotti plastici diventa rifiuto e che di questa percentuale, quasi il 90% viene smaltito non correttamente, non viene, quindi, riciclato e finisce in natura. Parliamo di sacchetti di plastica, bottiglie di plastica, cannucce, piatti, involucri usa e getta, tutti prodotti che una volta dispersi nell’ambiente iniziano la loro azione di inquinamento. I raggi del sole, l’azione delle onde, quella del vento, batteri e microbi agiscono negli anni sul prodotto plastico e lo frammentano, più e più volte, riducendolo in microscopici pezzi che vengono, appunto, definiti microplastiche.

Purtroppo, in questa seconda categoria, ritroviamo i frammenti che fuoriescono dal bucato delle nostre lavatrici e studiati da Peter Ross e il suo team nelle acque dell’Artico. Come abbiamo avuto modo di vedere qui, ci sono alcune piccole azioni che possiamo fare già da oggi per ridurre il più possibile il nostro impatto ambientale: fare lavatrici solo a pieno carico; ove possibile, selezionare una centrifuga con numero di giri minore; utilizzare filtri o sacchetti che trattengano le microplastiche.

Oltre a queste “buona abitudini”, dovremmo muoverci collettivamente per richiedere che il primo lavaggio dei capi avvenga già nel processo di fabbricazione, prima di arrivare in negozio: questo perché gli studiosi han dimostrato che è il lavaggio più inquinante e che lascia andare più microplastiche nelle acque di scarico.

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