Gli scarichi di aziende e industrie sono tra le cause principali dell’inquinamento di mari, laghi e fiumi europei. Il rilascio continuo di agenti dannosi ha trasformato il 60% delle acque europee in zone con uno stato “non buono”, cioè ecosistemi alterati con grandi rischi per fauna e flora (dati EEA)
Troppo spesso viene dimenticato che questi volumi di materiali di scarto che finiscono nell’ambiente possono essere un grande rischio, non solo per animali e piante, ma anche per la salute dell’Uomo.
Soprattutto negli ultimi 15 anni, l’attenzione dell’Unione Europea per questo problema è cresciuta e ha fortunatamente alimentato un dibattito molto acceso. L’obiettivo finale è stato ed è quello di riuscire a far fiorire uno sviluppo industriale che si ponga come target anche quello di diminuire l’impatto ambientale della propria produzione. Un obiettivo apparentemente facile, ma assai complesso se si ragione su scala continentale.
Proprio in questa direzione si spingono le due direttive europee, la Direttiva 2010/75/Ue e, l’ultima, quella dell’autunno del 2020, la Direttiva 200/6/Ce. I risultati, anche se ancora insufficienti, iniziano a vedersi: dal 2010 ad oggi, le industrie hanno progressivamente ridotto i volumi di agenti inquinanti rilasciati nelle acque. Questo è avvenuto sia in Italia, sia in moltissimi altri paesi europei ed è stato un trend che ha conosciuto solamente una battuta di arresto, l’anno 2019, ma che comunque non ha compromesso l’ottimo lavoro svolto fino a quel momento.
Non è semplice rispondere a questa domanda perché le sostanze che vengono rilasciate nell’acqua dalle industrie spesso tendono ad interagire tra loro, a trasformarsi e a moltiplicare il proprio impatto sull’ambiente.
Piombo, cadmio e mercurio: i metalli pesanti sono sicuramente una delle sostanze dannose più diffuse dalle industrie. La pericolosità di questi agenti non risiede nella loro presenza nell’ambiente - moltissimi di questi elementi chimici sono già presenti in natura - la questione diventa delicata quando, vicino alle industrie, i volumi diventano molto elevati creando in tempi brevi danni all’intero ecosistema, talvolta difficilmente reversibili.
Il pericolo dell’acidificazione degli habitat acquatici, invece, è causato dall’inquinamento dato dall’azoto e dal fosforo.
(Immagine e dati: EEA)
Nell’ultimo decennio la diminuzione più importante tra gli agenti inquinanti è stata quella dei metalli pesanti: un calo netto, soprattutto dal 2014 in poi. Diminuzioni più contenute, ma comunque da segnalare, si sono verificate nei valori riferiti al carbonio organico, al fosforo e all’azoto.
Se questo è stato il trend generale registrato nel continente europeo, da segnalare anche gli Stati che purtroppo sono andati in controtendenza: Croazia, Spagna e Cipro hanno registrato un aumento di alcuni fattori inquinanti, soprattutto nei volumi di fosforo e dei metalli pesanti (Cipro con un preoccupante + 12294,7%).
La diminuzione di alcune sostanze è stata resa possibile grazie anche a sistemi di filtrazione degli scarichi industriali di ultima generazione che sono stati resi obbligatori o che hanno subito un notevole abbassamento dei costi.
Come abbiamo scritto, tra gli agenti inquinanti più pericolosi ci sono sicuramente azoto e fosforo. Se presenti in grandi quantità, agiscono in modo devastante sull’ambiente acquatico, alterandone pesantemente gli equilibri e inducendo una sovrabbondanza di sostanze nutritive. La conseguenza diretta? Gli specchi d’acqua ricoperti da un’improvvisa proliferazione di alghe (eutrofizzazione).
Grazie a grandi sforzi di sensibilizzazione, tra gli Stati europei, l’Italia è divenuta un vero e proprio modello di comportamento virtuoso. Infatti, nel periodo preso in esame (2010-2019), le industrie italiane hanno fatto registrare un -40,9% delle emissioni di fosforo e un -24,8% delle emissioni di azoto.
Ottimi risultati, ma la strada per raggiungere gli obiettivi prefissati dall’UE è ancora molto lunga e complessa.